Dai Monti Dauni un’idea per lo sviluppo: la forestazione produttiva

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Negli anni ottanta mancò una logica di sistema. Non a caso la sfida riparte da Orsara, un comune che ha saputo investire sul “locale” e sull’identità.
La forestazione produttiva rappresenta un’altra delle occasioni perdute dalla Capitanata per imboccare, ma seriamente e non con le solite chiacchiere fritte, la strada di uno sviluppo autocentrico, cioè fondato sulle risorse endogene del territorio.
Non è un caso che questo comparto fosse uno dei capitoli salienti di quello “Progetto Capitanata” voluto dalla Provincia, allora guidata da Franz Kuntze. La maggiore produzione di legno resa possibile dagli interventi di forestazione che il Progetto avrebbe dovuto implementare, doveva servire ad alimentare, riducendo i costi di trasporto che nel caso del legname incidono notevolmente sul prodotto finito, la filiera legno mobilio, che in quegli anni era particolarmente viva e competitiva a San Severo e nella Capitanata settentrionale.
C’è da dire che, una volta tanto, la bella intuizione non restò solo sulla carta, anche perché nel suo sforzo fu sostenuto da esponenti di primo piano del “Progetto Capitanata”, con Federico Pirro, che fu uno degli autori, e Antonio Grosso, assessore provinciale. I due sedevano nei configli di Amministrazione della Insud e della Finfor, una finanziaria della stessa Insud che si occupava, appunto, di sostenere le iniziativa di forestazione produttiva.

Il territorio rispose anche  benino, nel senso che diversi proprietari di terreni e di boschi attuarono gli interventi finanziabili. Però non si innescò mai il meccanismo virtuoso, la logica di sistema, si direbbe oggi, in grado di promuovere la filerà legno-mobilio.
Perché? Non è facile dare una risposta, ma è lo stesso interrogativo che si pone in generale su tutta la storia del mancato decollo del modello di sviluppo sognato da Kuntze, ed ancora oggi attualissimo, come dimostra il convegno cheti è svolto in questi giorni ad Orsara di Puglia.
La filiera legno-mobilio non decollò – così come non mise le ali lo sviluppo integrato e autocentrico vagheggiato dall’Amministrazione Provinciale – perché non riuscì mai a sedimentarsi, nel territorio, quella logica di sistema che è indispensabile per ogni modello di sviluppo.
Proprio il settore del mobilio racconta una storia esemplare. Avere la disponibilità di materia prima ad un prezzo più conveniente non fu sufficiente a propiziare l’affermazione di un settore che era alle prese con almeno un paio di problemi produttivi  di un certo spessore, la cui soluzione avrebbe richiesto, appunto, una maggiore e più efficace logica di sistema: la difficoltà di competere con una concorrenza sempre più agguerrita in tema di design (le cui professionalità, evidentemente, non erano disponibili localmente e costavano troppo extra provincia) e i costi di trasporto, legati essenzialmente alle difficoltà di imbarcare al porto di Manfredonia i container che trasportavano i mobili prodotti nell’Alto Tavoliere: i nastri trasportatori sarebbero venuti solo diversi anni dopo, e gli industriali del mobilio erano costretti a mandare i container a Pescara o a Bari con un notevole aggravio di spese.
Eppure, il “Progetto Capitanata” insisteva particolarmente sulla necessità di “fare sistema”: un altro cospicuo capitolo era dedicato alla Sofim, ed elencava puntualmente le subornare (almeno una dozzina) di cui l’azienda necessitava e di cui era costretta ad approvvigionarsi fuori provincia, in mancanza di un indotto locale, che avrebbe prodotto reddito ed occupazione. Gli autori del “Progetto Capitanata” temevano che l’economia dauna potesse restare vittima di altre beffe, come quella che si era consumata qualche anno prima, con l’inopinata chiusura dell’Ajinomoto Insud a Manfredonia: lo stabilimento, di proprietà nipponica, produceva glutammato monopodico ma non riusciva ad approvvigionarsi di materia prima localmente. I macchinari vennero smontati addirittura nottetempo e trasferiti altrove.
La globalizzazione ha fatto il resto, rendendo molto più ardua la possibilità di governare modelli di sviluppo su dimensione locale.
La provincia di Foggia non ha mai imparato la lezione, ed ancora oggi continua a pagare un debito impressionante alla mancanza di una visione sistemica ed integrata dello sviluppo. Ne è una riprova la manfrina sull’aeroporto che corre il rischio di vedere interrotti i suoi voli di linea, proprio nell’anno in cui ha definitivamente affermato la validità e l’attualità della sua vocazione turistica.
È comunque un bene che, se non altro, si sia ricominciato a ragionare in termini di sviluppo, com’è successo in questi giorni ad Orsara. E non a caso è successo in comune che, più di altri,  sta puntando le sue chanches di futuro sull’intelligente valorizzazione del “locale”, della identità.

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Author: Geppe Inserra

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