La vicenda personale e politica di Carmelina Panico è un bel
paradigma di cosa abbia significato vivere da comunisti nel secolo scorso:
assai di più di un’opzione ideologica; piuttosto una scelta totalizzante, che
ha coinvolto passione politica, affetti familiari, lavoro quotidiano. Nella sua
esistenza, l’essere donna, mamma e dirigente politica e sindacale sono stati un
intreccio indissolubile.
Sarebbe bello poter stabilire cos’è che, in una vita, ad un certo punto ne
orienta il corso, quale molla o accadimento lo fa diventare irrevocabile. Se il
destino, o i valori che uno si porta dentro. Nel caso di Carmelina Panico fu
certamente il suo innato desiderio di dedicarsi agli altri, la sua sconfinata
generosità.
È stata una vita ricca di scelte, e a volte anche di bivii. I primordi della
sua formazione sociale si consumano in bilico tra l’attività della parrocchia e
i primi passi del Partito comunista, appena uscito dalla clandestinità, che a
Cerignola si riorganizza nel mito di Giuseppe Di Vittorio.
Nell’uno e nell’altro contesto, nella città del Basso
Tavoliere sono particolarmente attive le ragazze: l’arrivo degli alleati ha
fatto schiudere nuovi orizzonti di partecipazione e di libertà, che coinvolge
molto i giovani e le donne. La molla del destino scatta quando il parroco vieta
alle ragazze che frequentano l’oratorio di prendere parte alle attività del
Partito comunista. Non siamo ancora alla guerra fredda, ma già si respira aria
di divisioni ideologiche, che conducono fatalmente a scelte di vita. Carmelina,
impegnata con un gruppo di ragazze in una raccolta di fondi per le famiglie dei
comunisti ancora detenuti o confinati, non ha dubbi. Sceglie il Partito. A
Cerignola, il movimento femminile era stato sempre particolarmente forte e
radicato, distinguendosi nell’organizzazione di manifestazioni di protesta già
da prima del fascismo e per una partecipazione costante a tutte le iniziative
di piazza. Ne era stata un’autorevole esponente la nonna di Carmelina, Savina
Rapillo, anarchica, che aveva preso parte a clamorose azioni come un (riuscito)
assalto al carcere per liberare detenuti politici socialisti, tra cui il
fratello, o la protesta contro l’aumento del prezzo del tabacco, durante la
quale le donne infuriate avevano gettato le pipe sotto il municipio. Di nonna
Savina, proprio Carmelina amava raccontare un significativo episodio: poco dopo
la fine della prima guerra mondiale, durante un’infuocata assemblea per
l’estensione del voto alle donne, presieduta da Angelica Balabanova, dirigente
nazionale del Partito socialista e direttrice dell’Avanti, aveva zittito un
ispettore di polizia che aveva intimato all’oratrice una maggiore moderazione
nei toni del discorso.
Dopo la Liberazione e la caduta del regime, le donne, soprattutto le più
giovani, svolgono a Cerignola una funzione decisiva nella ricostruzione della
democrazia. Il 22 marzo 1944, scendono in piazza quasi in mille, rifiutando di
riscuotere il sussidio militare, ritenuto irrisorio. Con la mediazione del
comando militare alleato di occupazione riescono ad ottenere 100.000 lire a
titolo di sussidio integrativo.
La partecipazione femminile è decisiva anche nell’orientare il corso degli
eventi politici dell’immediato dopoguerra. Quando l’Amgot e la Prefettura
devono scegliere il sindaco e la scelta cade su un moderato, Michele Tortora,
mentre la volontà popolare propende per un sindaco di sinistra, sono le donne a
dissuadere Tortora ad insediarsi nell’incarico.
Le prime riunioni si svolgevano nell’abitazione di Santella Russo, madrina di
battesimo di Carmelina. In quella cellula ante litteram, si ritrovavano
soprattutto i giovani, per organizzare le diverse iniziative politiche, ma
anche più semplicemente per stare insieme, cantare, ballare.
L’umile abitazione del rione Sant’Antonio si rivela un formidabile laboratorio
politico, contribuendo alla formazione di un pezzo importante della classe
dirigente del partito e del sindacato, e non solo di Cerignola. Qui Carmelina
conoscerà il compagno della sua vita e il padre dei sue tre figli, Vincenzo, e
sempre qui si forgerà e si avvierà all’attività politica e sindacale suo
fratello Pasquale, che sarebbe diventato, tra l’altro, segretario della Camera
provinciale del lavoro della Cgil, consigliere regionale e senatore della
Repubblica del Pci.
Vincenzo è figlio di Marco Pizzolo, esponente di punta del movimento
antifascista di Cerignola, amico personale di Giuseppe Di Vittorio. Quando
incontra Carmela è appena rientrato a Cerignola dopo un lungo peregrinare, con
la sua famiglia, per seguire il padre, confinato dal regime. A Tremiti,
Vincenzo aveva lavorato come postino, portando la posta a Sandro Pertini,
quindi si era trasferito col resto della famiglia prima a Favignana in Sicilia,
quindi a Gesualdo.
La ritrovata libertà e l’ansia di riscatto fanno presto di Cerignola un punto
di riferimento nelle lotte bracciantili che portano all’occupazione delle terre
degli agrari. Queste battaglie sono la scuola di formazione politica e
sindacale di Carmela e Pasquale Panico e di Vincenzo Pizzolo. Per tutti loro,
l’impegno politico e sindacale diventa una scelta di vita.
Anche in questo caso, ad assolvere un ruolo, a far scattare la molla è
l’imperscrutabilità del destino, sospeso tra caso e scelte.
Sia Pasquale che Vincenzo sono braccianti agricoli, e per loro la lotta per la
terra è il sogno di un avvenire migliore. Le poche versure strappate ai
latifondisti non sono sufficienti ad assicurare una vita dignitosa alle
rispettive famiglie. Assieme a Carmelina hanno però un forte ascendente sulle
ragazze ed i ragazzi di un movimento che sta diventando addirittura imponente.
Nel 1945, la federazione giovanile comunista di Cerignola annovera 2.000
iscritti, di cui 800 donne.
Carmelina, Vincenzo e Pasquale diventano così, come si diceva all’epoca, rivoluzionari
di professione.
Il suo primo incarico pubblico la vede componente della commissione comunale
che controlla la distribuzione dei viveri, sottoposti a razionamento. Carmelina
si distingue subito per la sua capacità organizzativa: il 1° maggio 1946
promuove una grande manifestazione femminile per la pace, con tutte le giovani
donne in abito da sposa, ed una gigantesca colomba in cartapesta trainata da un
carro. È particolarmente attiva nell’organizzare la partecipazione femminile ad
altre battaglie importanti di quegli anni, come quella per ottenere la
realizzazione dell’invaso di Capacciotti, necessaria per migliorare le
redditività dei terreni agricoli.
Carmelina si rivela un vero talento per il modo con cui riesce ad avvicinare le
donne, i braccianti, e a stabilire rapporti cordiali con i lavoratori, grazia
ad una straordinaria carica umana, ma anche alla capacità di compenetrarsi nei
problemi dei compagni.
Viene eletta in consiglio comunale a Cerignola, e poco dopo diventa
responsabile della Federbraccianti comunale. È la prima donna che nella Cgil
della provincia di Foggia abbia rivestito incarichi direttivi.
Fin dai primi passi nel mondo sindacale, Carmelina esprime quel che resterà una
costante di tutta la sua lunghissima militanza: un’attenzione spasmodica al
tesseramento, al reclutamento degli iscritti, al contatto costante e quotidiano
con la base, nella consapevolezza che l’organizzazione cammina con le gambe
delle persone che vi aderiscono, e prospera con il loro cuore e la loro
intelligenza.
Ma sono tempi duri, difficili, di tensione sociale acutissima. C’è la guerra
fredda, c’è il tentativo della Democrazia cristiana di governare
ideologicamente la riforma agraria, mettendo all’angolo i coltivatori ed i
braccianti di sinistra. Carmelina deve lottare su due fronti: contro le discriminazioni
nei confronti dei lavoratori della Cgil e contro il sottosalario delle donne
lavoratrici, pagate assai meno dei loro colleghi maschi. A volte, come
confesserà in una memoria pubblicata in Uomini e Donne protagonisti in
Puglia (prefazione di Guglielmo Epifani, Levante Editori, Bari) si
sente stanca, quasi pentita di aver accettato l’incarico. Ha una famiglia da
tirare avanti, ormai. Ma non si arrende.
Dopo aver frequentato la scuola di formazione sindacale a Faggeto Lario, vicino
Como, torna a Cerignola e comincia ad occuparsi dell’organizzazione del
sindacato anche nel resto del Basso Tavoliere: a Trinitapoli, è responsabile
della commissione femminile della Cgil, a Stornara conduce una serie di lotte
per affermare il diritto delle donne a percepire lo stesso salario degli
uomini. Di fronte al tentativo della Democrazia cristiana di monopolizzare le
assunzioni nei campi, attraverso l’ufficio di collocamento, organizza le donne
addette alla “barbatella” – braccianti poverissime, madri di famiglie
numerose e spesso anche con i mariti in carcere -, riuscendo ad ottenere per
loro un miglior trattamento salariale.
La sua incrollabile convinzione è che si possono vincere le sfide più insidiose
soltanto se il sindacato è unito, e forte.
Carmelina ha un’idea controcorrente rispetto alla teoria della “cinghia di
trasmissione” che in quegli anni influenza i rapporti tra il maggior
sindacato, la Cgil, ed il maggior partito della sinistra, il Pci. Nel sentire
comune, il sindacato era nulla più che la cinghia di trasmissione del partito:
ma per la giovane e tenace sindacalista di Cerignola non era così. Viveva a
pelle l’autonomia del sindacato, ancora prima che Giuseppe Di Vittorio, dopo i
fatti dell’Ungheria, strappasse definitivamente il cordone ombelicale che legava
le due organizzazioni di massa.
Questo senso dell’autonomia si rivela tutto quando Carmelina
“arruola” nelle file sindacali un altro dirigente del primo piano del
movimento sindacale pugliese, Vincenzo Valentino, consigliere comunale del Pci,
convincendolo ad accettare l’incarico di capolega dei braccianti a Cerignola
perché “è più importante che fare il consigliere comunale”. “Il
nostro – ricorda nella memoria che abbiamo citato – era un lavoro difficile,
sempre a contatto con i lavoratori, e non c’era molta gente disponibile.”
Nel 1960, Carmelina e suo marito Vincenzo Pizzolo prendono una decisione
importante: si trasferiscono con i tre figli Marco, Sabatina e Maria Giovanna,
a Foggia: sono stati chiamati a svolgere incarichi politici di livello
provinciale, e quindi devono lavorare nel capoluogo.
Vincenzo viene incaricato di guidare l’Alleanza Contadini, la moglie viene
chiamata nell’UDI (Unione Donne Italiane). Per entrambi si tratterà però di una
parentesi, in quanto dopo pochi mesi Carmelina tornerà a tempo piano nel
sindacato, entrando nella segreteria provinciale della Federbraccianti, e suo
marito si occuperà a tempo pieno del partito, come funzionario della
federazione provinciale del Pci.
Due storie, più di altre, denotano la qualità e la cultura sindacale di
Carmelina Panico. Sono storie di vertenze, di lotte, di vittorie.
Nel 1962, è in prima linea (in quanto rappresentante sindacale in seno al
comitato provinciale Onmi) nell’affrontare una questione annosa della
condizione femminile nel Sud, la mancanza di asili nido per i figli delle donne
lavoratrici. Il sindacato sottoscrive una convenzione con l’ispettorato
provinciale del lavoro per la raccolta delle olive. Le braccianti non possono
però usufruire della legge che eroga il servizio di asilo nido per i figli
delle lavoratrici: la norma vuole che le aziende debbano avere almeno cinquanta
dipendenti, circostanza molto difficile da verificarsi, nel settore agricolo.
Per giunta, il solo asilo nido operante in provincia di Foggia è ubicato alla
Cartiera: nel resto della provincia non c’è nulla, e tantomeno nei centri
agricoli. La Federbraccianti si mobilita ed assieme all’Onmi raggiunge un
importante accordo: l’apertura di asili nido nei centri dov’è più significativa
l’occupazione agricola, con la corresponsione, da parte dei datori di lavoro di
un contributo di 50 lire al giorno a favore dell’Onmi che così può estendere i
suoi servizi anche ai figli delle braccianti.
Il secondo episodio viene raccontato da Giovanni Novelli ne Il debito
d’onore (prefazione di Guglielmo Epifani, Spi Cgil, Foggia 2003).
Carmelina Panico è responsabile femminile della Federbraccianti provinciale, e
nel 1965 è chiamata a stipulare uno dei suoi primi contratti, nell’autunno del
1965, a Mattinata.
Si tratta di disciplinare la raccolta delle olive, dove vigono ancora sistemi
feudali. Il salario viene corrisposto infatti alle donne in natura, in olio, e
quel che è peggio non viene pattuito prima, ma viene stabilito soltanto a
raccolta effettuata, unilateralmente. Carmelina in quei giorni si trova a poca
distanza dalla ridente cittadina garganica. È infatti a Siponto, dove partecipa
ad un corso di formazione promosso dalla Federbraccianti. Data la vicinanza,
viene inviata a tenere un’assemblea a Mattinata dove si rende subito conto
della gravità della situazione. Alla riunione partecipa un buon numero di
donne, ma pochi uomini: per lo più “capi scalari”, addetti al
trasporto delle scale per la raccolta, ed al coordinamento del lavoro, che
viene svolto poi dalle donne.
La sindacalista spiega che è ormai giunto il momento di chiedere ai padroni di
sottoscrivere un regolare contratto, che di un rapporto di lavoro regolato si
gioverebbero tutti, sia uomini che donne, e dà appuntamento al giorno dopo, per
mettere a punto le necessarie iniziative di lotta. La partecipazione
all’assemblea del giorno successivo è impressionante. Si decide di proclamare
lo sciopero generale, ma Carmelina si rende conto che da sole le donne di
Mattinata possono poco, di fronte all’arroganza dei padroni ed alla necessità
di ribaltare una servitù che va avanti da secoli.
Torna a Siponto e, come riferisce Novelli nel libro citato, si rivolge
direttamente ai corsisti: “Le braccianti ed i braccianti agricoli di
Mattinata da soli non possono farcela. Fino a questo momento voi avete studiato
teoria. Ora avrete la fortuna di fare subito pratica e vedere a quanto serve
ciò che avete appreso. Perciò dobbiamo cambiare programma ed invece di
continuare la teoria faremo, con il permesso dei docenti, una bella
esercitazione pratica. Il corso di formazione cambia sede e si sposta a
Mattinata. Alle quattro di domani mattina dobbiamo stare tutti sul posto,
perché dobbiamo svegliare il paese e guidare i lavoratori e le lavoratrici
all’occupazione del municipio, delle aziende e dell’oleificio”.
Il giorno dopo, all’ora convenuta, sono presenti trecento ragazze che sfilano
per il paese, bloccando gli accessi. Alle sette il corteo è diventato enorme:
le aziende olivicole sono tutte picchettate, e la raccolta è praticamente
bloccata. Si continua a lavorare soltanto nell’oleificio: ma poco dopo la
produzione viene bloccata anche lì, grazie ad un espediente ideato da alcuni
corsisti di Siponto, che si fingono ispettori del lavoro ed una volta entrati
nello stabilimento bloccano la centralina elettrica.
Le aziende sono costrette a sedersi al lavoro della trattativa, per la prima
volta: il sindacato spunta un contratto di gran lunga più favorevole di quanto
non ci si aspettasse. “Al risultato salariale – chiosa Novelli – si
accompagna quello organizzativo; a fine campagna, ben 400 donne sono iscritte
alla Federbraccianti.”
Il contributo che Carmela Panico ha dato all’emancipazione delle lavoratrici
agricole in Capitanata è stato straordinario. Dalla vertenza di Mattinata in
poi, è stato un crescendo di lotte per i contratti, fino a quella, memorabile,
che sul finire degli anni Sessanta appuntò sulla Capitanata l’attenzione di
tutto il Paese.
Alla vigilia della rivoluzione irrigua e della meccanizzazione che avrebbe
portato alla espulsione di considerevoli quote di manodopera dai campi, i
braccianti volevano poter contare di più nelle aziende, volevano poter dire la
loro sui piani colturali, e per imporre la loro volontà dettero vita allo
sciopero forse più imponente che la storia sindacale della provincia di Foggia
ricordi, fermandosi per diverse settimane, sostenuti da una catena di
solidarietà che rappresenta anche una storica e struggente pagina di
partecipazione e di democrazia.
Carmela Panico fu sempre in prima fila in queste battaglie, così come in quella
intensa stagione progettuale che, negli anni ottanta, portò la Federbraccianti
ad elaborare un vero e proprio piano di sviluppo della Capitanata. E volle
essere in prima linea anche dopo essere andata in pensione, dopo la morte
prematura di suo marito Vincenzo, al termine di un percorso sindacale ricco di
impegni ma anche di soddisfazioni. Manco a dirlo, aderì allo Spi Cgil, il
sindacato dei pensionati, che l’ha avuta attiva protagonista fino agli ultimi
giorni, componente della segreteria provinciale e responsabile del coordinamento
donne, sempre molto attiva sul fronte delle iniziative per la pace.
Tra le cose più belle della sua vita, questa sicuramente non scritta dal caso,
ma dall’anima, da ciò che è stata, dai valori che ha vissuto ed ha trasmesso,
c’è che Carmela Panico ha vissuto il suo tempo con rara intensità, riuscendo ad
essere sempre sindacalista, donna, mamma e poi nonna a tempo pieno, vivendo
fino in fondo ogni minuto. È bello ricordarla con le sue stesse parole, scritte
nel memoriale citato prima, quando commentando le difficoltà del lavoro
quotidiano diceva: “è stato un impegno pieno di difficoltà, difficile. Ma ne è
valsa la pena.”
paradigma di cosa abbia significato vivere da comunisti nel secolo scorso:
assai di più di un’opzione ideologica; piuttosto una scelta totalizzante, che
ha coinvolto passione politica, affetti familiari, lavoro quotidiano. Nella sua
esistenza, l’essere donna, mamma e dirigente politica e sindacale sono stati un
intreccio indissolubile.
Sarebbe bello poter stabilire cos’è che, in una vita, ad un certo punto ne
orienta il corso, quale molla o accadimento lo fa diventare irrevocabile. Se il
destino, o i valori che uno si porta dentro. Nel caso di Carmelina Panico fu
certamente il suo innato desiderio di dedicarsi agli altri, la sua sconfinata
generosità.
È stata una vita ricca di scelte, e a volte anche di bivii. I primordi della
sua formazione sociale si consumano in bilico tra l’attività della parrocchia e
i primi passi del Partito comunista, appena uscito dalla clandestinità, che a
Cerignola si riorganizza nel mito di Giuseppe Di Vittorio.
Nell’uno e nell’altro contesto, nella città del Basso
Tavoliere sono particolarmente attive le ragazze: l’arrivo degli alleati ha
fatto schiudere nuovi orizzonti di partecipazione e di libertà, che coinvolge
molto i giovani e le donne. La molla del destino scatta quando il parroco vieta
alle ragazze che frequentano l’oratorio di prendere parte alle attività del
Partito comunista. Non siamo ancora alla guerra fredda, ma già si respira aria
di divisioni ideologiche, che conducono fatalmente a scelte di vita. Carmelina,
impegnata con un gruppo di ragazze in una raccolta di fondi per le famiglie dei
comunisti ancora detenuti o confinati, non ha dubbi. Sceglie il Partito. A
Cerignola, il movimento femminile era stato sempre particolarmente forte e
radicato, distinguendosi nell’organizzazione di manifestazioni di protesta già
da prima del fascismo e per una partecipazione costante a tutte le iniziative
di piazza. Ne era stata un’autorevole esponente la nonna di Carmelina, Savina
Rapillo, anarchica, che aveva preso parte a clamorose azioni come un (riuscito)
assalto al carcere per liberare detenuti politici socialisti, tra cui il
fratello, o la protesta contro l’aumento del prezzo del tabacco, durante la
quale le donne infuriate avevano gettato le pipe sotto il municipio. Di nonna
Savina, proprio Carmelina amava raccontare un significativo episodio: poco dopo
la fine della prima guerra mondiale, durante un’infuocata assemblea per
l’estensione del voto alle donne, presieduta da Angelica Balabanova, dirigente
nazionale del Partito socialista e direttrice dell’Avanti, aveva zittito un
ispettore di polizia che aveva intimato all’oratrice una maggiore moderazione
nei toni del discorso.
Dopo la Liberazione e la caduta del regime, le donne, soprattutto le più
giovani, svolgono a Cerignola una funzione decisiva nella ricostruzione della
democrazia. Il 22 marzo 1944, scendono in piazza quasi in mille, rifiutando di
riscuotere il sussidio militare, ritenuto irrisorio. Con la mediazione del
comando militare alleato di occupazione riescono ad ottenere 100.000 lire a
titolo di sussidio integrativo.
La partecipazione femminile è decisiva anche nell’orientare il corso degli
eventi politici dell’immediato dopoguerra. Quando l’Amgot e la Prefettura
devono scegliere il sindaco e la scelta cade su un moderato, Michele Tortora,
mentre la volontà popolare propende per un sindaco di sinistra, sono le donne a
dissuadere Tortora ad insediarsi nell’incarico.
Le prime riunioni si svolgevano nell’abitazione di Santella Russo, madrina di
battesimo di Carmelina. In quella cellula ante litteram, si ritrovavano
soprattutto i giovani, per organizzare le diverse iniziative politiche, ma
anche più semplicemente per stare insieme, cantare, ballare.
L’umile abitazione del rione Sant’Antonio si rivela un formidabile laboratorio
politico, contribuendo alla formazione di un pezzo importante della classe
dirigente del partito e del sindacato, e non solo di Cerignola. Qui Carmelina
conoscerà il compagno della sua vita e il padre dei sue tre figli, Vincenzo, e
sempre qui si forgerà e si avvierà all’attività politica e sindacale suo
fratello Pasquale, che sarebbe diventato, tra l’altro, segretario della Camera
provinciale del lavoro della Cgil, consigliere regionale e senatore della
Repubblica del Pci.
Vincenzo è figlio di Marco Pizzolo, esponente di punta del movimento
antifascista di Cerignola, amico personale di Giuseppe Di Vittorio. Quando
incontra Carmela è appena rientrato a Cerignola dopo un lungo peregrinare, con
la sua famiglia, per seguire il padre, confinato dal regime. A Tremiti,
Vincenzo aveva lavorato come postino, portando la posta a Sandro Pertini,
quindi si era trasferito col resto della famiglia prima a Favignana in Sicilia,
quindi a Gesualdo.
La ritrovata libertà e l’ansia di riscatto fanno presto di Cerignola un punto
di riferimento nelle lotte bracciantili che portano all’occupazione delle terre
degli agrari. Queste battaglie sono la scuola di formazione politica e
sindacale di Carmela e Pasquale Panico e di Vincenzo Pizzolo. Per tutti loro,
l’impegno politico e sindacale diventa una scelta di vita.
Anche in questo caso, ad assolvere un ruolo, a far scattare la molla è
l’imperscrutabilità del destino, sospeso tra caso e scelte.
Sia Pasquale che Vincenzo sono braccianti agricoli, e per loro la lotta per la
terra è il sogno di un avvenire migliore. Le poche versure strappate ai
latifondisti non sono sufficienti ad assicurare una vita dignitosa alle
rispettive famiglie. Assieme a Carmelina hanno però un forte ascendente sulle
ragazze ed i ragazzi di un movimento che sta diventando addirittura imponente.
Nel 1945, la federazione giovanile comunista di Cerignola annovera 2.000
iscritti, di cui 800 donne.
Carmelina, Vincenzo e Pasquale diventano così, come si diceva all’epoca, rivoluzionari
di professione.
Il suo primo incarico pubblico la vede componente della commissione comunale
che controlla la distribuzione dei viveri, sottoposti a razionamento. Carmelina
si distingue subito per la sua capacità organizzativa: il 1° maggio 1946
promuove una grande manifestazione femminile per la pace, con tutte le giovani
donne in abito da sposa, ed una gigantesca colomba in cartapesta trainata da un
carro. È particolarmente attiva nell’organizzare la partecipazione femminile ad
altre battaglie importanti di quegli anni, come quella per ottenere la
realizzazione dell’invaso di Capacciotti, necessaria per migliorare le
redditività dei terreni agricoli.
Carmelina si rivela un vero talento per il modo con cui riesce ad avvicinare le
donne, i braccianti, e a stabilire rapporti cordiali con i lavoratori, grazia
ad una straordinaria carica umana, ma anche alla capacità di compenetrarsi nei
problemi dei compagni.
Viene eletta in consiglio comunale a Cerignola, e poco dopo diventa
responsabile della Federbraccianti comunale. È la prima donna che nella Cgil
della provincia di Foggia abbia rivestito incarichi direttivi.
Fin dai primi passi nel mondo sindacale, Carmelina esprime quel che resterà una
costante di tutta la sua lunghissima militanza: un’attenzione spasmodica al
tesseramento, al reclutamento degli iscritti, al contatto costante e quotidiano
con la base, nella consapevolezza che l’organizzazione cammina con le gambe
delle persone che vi aderiscono, e prospera con il loro cuore e la loro
intelligenza.
Ma sono tempi duri, difficili, di tensione sociale acutissima. C’è la guerra
fredda, c’è il tentativo della Democrazia cristiana di governare
ideologicamente la riforma agraria, mettendo all’angolo i coltivatori ed i
braccianti di sinistra. Carmelina deve lottare su due fronti: contro le discriminazioni
nei confronti dei lavoratori della Cgil e contro il sottosalario delle donne
lavoratrici, pagate assai meno dei loro colleghi maschi. A volte, come
confesserà in una memoria pubblicata in Uomini e Donne protagonisti in
Puglia (prefazione di Guglielmo Epifani, Levante Editori, Bari) si
sente stanca, quasi pentita di aver accettato l’incarico. Ha una famiglia da
tirare avanti, ormai. Ma non si arrende.
Dopo aver frequentato la scuola di formazione sindacale a Faggeto Lario, vicino
Como, torna a Cerignola e comincia ad occuparsi dell’organizzazione del
sindacato anche nel resto del Basso Tavoliere: a Trinitapoli, è responsabile
della commissione femminile della Cgil, a Stornara conduce una serie di lotte
per affermare il diritto delle donne a percepire lo stesso salario degli
uomini. Di fronte al tentativo della Democrazia cristiana di monopolizzare le
assunzioni nei campi, attraverso l’ufficio di collocamento, organizza le donne
addette alla “barbatella” – braccianti poverissime, madri di famiglie
numerose e spesso anche con i mariti in carcere -, riuscendo ad ottenere per
loro un miglior trattamento salariale.
La sua incrollabile convinzione è che si possono vincere le sfide più insidiose
soltanto se il sindacato è unito, e forte.
Carmelina ha un’idea controcorrente rispetto alla teoria della “cinghia di
trasmissione” che in quegli anni influenza i rapporti tra il maggior
sindacato, la Cgil, ed il maggior partito della sinistra, il Pci. Nel sentire
comune, il sindacato era nulla più che la cinghia di trasmissione del partito:
ma per la giovane e tenace sindacalista di Cerignola non era così. Viveva a
pelle l’autonomia del sindacato, ancora prima che Giuseppe Di Vittorio, dopo i
fatti dell’Ungheria, strappasse definitivamente il cordone ombelicale che legava
le due organizzazioni di massa.
Questo senso dell’autonomia si rivela tutto quando Carmelina
“arruola” nelle file sindacali un altro dirigente del primo piano del
movimento sindacale pugliese, Vincenzo Valentino, consigliere comunale del Pci,
convincendolo ad accettare l’incarico di capolega dei braccianti a Cerignola
perché “è più importante che fare il consigliere comunale”. “Il
nostro – ricorda nella memoria che abbiamo citato – era un lavoro difficile,
sempre a contatto con i lavoratori, e non c’era molta gente disponibile.”
Nel 1960, Carmelina e suo marito Vincenzo Pizzolo prendono una decisione
importante: si trasferiscono con i tre figli Marco, Sabatina e Maria Giovanna,
a Foggia: sono stati chiamati a svolgere incarichi politici di livello
provinciale, e quindi devono lavorare nel capoluogo.
Vincenzo viene incaricato di guidare l’Alleanza Contadini, la moglie viene
chiamata nell’UDI (Unione Donne Italiane). Per entrambi si tratterà però di una
parentesi, in quanto dopo pochi mesi Carmelina tornerà a tempo piano nel
sindacato, entrando nella segreteria provinciale della Federbraccianti, e suo
marito si occuperà a tempo pieno del partito, come funzionario della
federazione provinciale del Pci.
Due storie, più di altre, denotano la qualità e la cultura sindacale di
Carmelina Panico. Sono storie di vertenze, di lotte, di vittorie.
Nel 1962, è in prima linea (in quanto rappresentante sindacale in seno al
comitato provinciale Onmi) nell’affrontare una questione annosa della
condizione femminile nel Sud, la mancanza di asili nido per i figli delle donne
lavoratrici. Il sindacato sottoscrive una convenzione con l’ispettorato
provinciale del lavoro per la raccolta delle olive. Le braccianti non possono
però usufruire della legge che eroga il servizio di asilo nido per i figli
delle lavoratrici: la norma vuole che le aziende debbano avere almeno cinquanta
dipendenti, circostanza molto difficile da verificarsi, nel settore agricolo.
Per giunta, il solo asilo nido operante in provincia di Foggia è ubicato alla
Cartiera: nel resto della provincia non c’è nulla, e tantomeno nei centri
agricoli. La Federbraccianti si mobilita ed assieme all’Onmi raggiunge un
importante accordo: l’apertura di asili nido nei centri dov’è più significativa
l’occupazione agricola, con la corresponsione, da parte dei datori di lavoro di
un contributo di 50 lire al giorno a favore dell’Onmi che così può estendere i
suoi servizi anche ai figli delle braccianti.
Il secondo episodio viene raccontato da Giovanni Novelli ne Il debito
d’onore (prefazione di Guglielmo Epifani, Spi Cgil, Foggia 2003).
Carmelina Panico è responsabile femminile della Federbraccianti provinciale, e
nel 1965 è chiamata a stipulare uno dei suoi primi contratti, nell’autunno del
1965, a Mattinata.
Si tratta di disciplinare la raccolta delle olive, dove vigono ancora sistemi
feudali. Il salario viene corrisposto infatti alle donne in natura, in olio, e
quel che è peggio non viene pattuito prima, ma viene stabilito soltanto a
raccolta effettuata, unilateralmente. Carmelina in quei giorni si trova a poca
distanza dalla ridente cittadina garganica. È infatti a Siponto, dove partecipa
ad un corso di formazione promosso dalla Federbraccianti. Data la vicinanza,
viene inviata a tenere un’assemblea a Mattinata dove si rende subito conto
della gravità della situazione. Alla riunione partecipa un buon numero di
donne, ma pochi uomini: per lo più “capi scalari”, addetti al
trasporto delle scale per la raccolta, ed al coordinamento del lavoro, che
viene svolto poi dalle donne.
La sindacalista spiega che è ormai giunto il momento di chiedere ai padroni di
sottoscrivere un regolare contratto, che di un rapporto di lavoro regolato si
gioverebbero tutti, sia uomini che donne, e dà appuntamento al giorno dopo, per
mettere a punto le necessarie iniziative di lotta. La partecipazione
all’assemblea del giorno successivo è impressionante. Si decide di proclamare
lo sciopero generale, ma Carmelina si rende conto che da sole le donne di
Mattinata possono poco, di fronte all’arroganza dei padroni ed alla necessità
di ribaltare una servitù che va avanti da secoli.
Torna a Siponto e, come riferisce Novelli nel libro citato, si rivolge
direttamente ai corsisti: “Le braccianti ed i braccianti agricoli di
Mattinata da soli non possono farcela. Fino a questo momento voi avete studiato
teoria. Ora avrete la fortuna di fare subito pratica e vedere a quanto serve
ciò che avete appreso. Perciò dobbiamo cambiare programma ed invece di
continuare la teoria faremo, con il permesso dei docenti, una bella
esercitazione pratica. Il corso di formazione cambia sede e si sposta a
Mattinata. Alle quattro di domani mattina dobbiamo stare tutti sul posto,
perché dobbiamo svegliare il paese e guidare i lavoratori e le lavoratrici
all’occupazione del municipio, delle aziende e dell’oleificio”.
Il giorno dopo, all’ora convenuta, sono presenti trecento ragazze che sfilano
per il paese, bloccando gli accessi. Alle sette il corteo è diventato enorme:
le aziende olivicole sono tutte picchettate, e la raccolta è praticamente
bloccata. Si continua a lavorare soltanto nell’oleificio: ma poco dopo la
produzione viene bloccata anche lì, grazie ad un espediente ideato da alcuni
corsisti di Siponto, che si fingono ispettori del lavoro ed una volta entrati
nello stabilimento bloccano la centralina elettrica.
Le aziende sono costrette a sedersi al lavoro della trattativa, per la prima
volta: il sindacato spunta un contratto di gran lunga più favorevole di quanto
non ci si aspettasse. “Al risultato salariale – chiosa Novelli – si
accompagna quello organizzativo; a fine campagna, ben 400 donne sono iscritte
alla Federbraccianti.”
Il contributo che Carmela Panico ha dato all’emancipazione delle lavoratrici
agricole in Capitanata è stato straordinario. Dalla vertenza di Mattinata in
poi, è stato un crescendo di lotte per i contratti, fino a quella, memorabile,
che sul finire degli anni Sessanta appuntò sulla Capitanata l’attenzione di
tutto il Paese.
Alla vigilia della rivoluzione irrigua e della meccanizzazione che avrebbe
portato alla espulsione di considerevoli quote di manodopera dai campi, i
braccianti volevano poter contare di più nelle aziende, volevano poter dire la
loro sui piani colturali, e per imporre la loro volontà dettero vita allo
sciopero forse più imponente che la storia sindacale della provincia di Foggia
ricordi, fermandosi per diverse settimane, sostenuti da una catena di
solidarietà che rappresenta anche una storica e struggente pagina di
partecipazione e di democrazia.
Carmela Panico fu sempre in prima fila in queste battaglie, così come in quella
intensa stagione progettuale che, negli anni ottanta, portò la Federbraccianti
ad elaborare un vero e proprio piano di sviluppo della Capitanata. E volle
essere in prima linea anche dopo essere andata in pensione, dopo la morte
prematura di suo marito Vincenzo, al termine di un percorso sindacale ricco di
impegni ma anche di soddisfazioni. Manco a dirlo, aderì allo Spi Cgil, il
sindacato dei pensionati, che l’ha avuta attiva protagonista fino agli ultimi
giorni, componente della segreteria provinciale e responsabile del coordinamento
donne, sempre molto attiva sul fronte delle iniziative per la pace.
Tra le cose più belle della sua vita, questa sicuramente non scritta dal caso,
ma dall’anima, da ciò che è stata, dai valori che ha vissuto ed ha trasmesso,
c’è che Carmela Panico ha vissuto il suo tempo con rara intensità, riuscendo ad
essere sempre sindacalista, donna, mamma e poi nonna a tempo pieno, vivendo
fino in fondo ogni minuto. È bello ricordarla con le sue stesse parole, scritte
nel memoriale citato prima, quando commentando le difficoltà del lavoro
quotidiano diceva: “è stato un impegno pieno di difficoltà, difficile. Ma ne è
valsa la pena.”
Geppe Inserra
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