Il rapporto Svimez 2010 è uno specchio dello sviluppo mancato. Il grido d’allarme di Novacco: resterà inascoltato anche quest’anno?
La Capitanata, ombelico del Mezzogiorno. E non è una tesi dettata dal campanile. Provincia di frontiera, avamposto del Sud Est verso il centro e il nord del Paese. Ma anche territorio esemplare delle potenzialità ed assieme dei limiti dello sviluppo, o se preferite del mancato sviluppo, del Mezzogiorno d’Italia. Capitanata ensemble di quel che il Mezzogiorno è, di quel che poteva essere, di quel che potrebbe essere.
È per questa ragione che la presentazione dell’annuale rapporto della Svimez, per la nostra terra, rappresenta da sempre una sorta di specchio. Peccato che da anni questo appuntamento non evochi più, come accadeva un tempo (quando, soprattutto grazie alla Fiera di Foggia eravamo anche crocevia di un certo dibattito meridionalistica) riflessioni, confronti. È tramontato il meridionalismo, e con esso forse lo stesso Sud.
Ma di riflessioni ne evoca, eccome, il Rapporto 2010 sull’economia del Mezzogiorno. Lo scorso anno la presentazione del documento suscitò un dibattito appassionato e perfino di un certo spessore politico. Si disse che così non si poteva andare più avanti. Che il Mezzogiorno andava recuperato allo sviluppo del Paese, che andavano definitivamente rimosse le ragioni del divario. Si parlò da parte del Governo di misure straordinarie. Si prospettò la possibilità di una Banca per il Sud che avrebbe dovuto ripetere, in un certo senso, l’esperienza della mai troppo rimpianta Cassa del Mezzogiorno.
Niente di tutto questo è accaduto. Con una mano al Mezzogiorno sono stati promessi interventi straordinari. Con l’altra mano gli sono state tolte risorse finanziarie – come quelle del Fas (Fondo per le aree sottosviluppate) – che pure gli spettavano, per diritto e per logica.
È stato tagliato il piano irriguo nazionale che, giova ricordarlo, finanzia progetti che discendono dalla vecchia Cassa per il Mezzogiorno, e che da trent’anni attendono di essere attuati.
La Capitanata ha pagato dazio con il rinvio sine die del finanziamento per la costruzione della diga di Piano dei Limiti, che servirebbe come il pane (anzi, come l’acqua) all’agricoltura, a sua volta vessata dalla feroce competizione di mercato e dalle speculazioni commerciali. Ma abbiamo pagato dazio in tanti altri ambiti, dalla grande viabilità con il mancato finanziamento di opere essenziali per lo sviluppo quali la superstrada del Gargano, la SS 16 e la Pedesubappenninica, al trasporto aereo, con le tante incognite che ancora continuano a gravare sull’aeroporto Lisa e sull’adeguamento della pista.
Il Mezzogiorno, e con esso la sua provincia ombelico, sono appesi ad un filo, ma nessuno ne parla e pochi se ne accorgono.
Nino Novacco che lo scorso anno relazionò sul rapporto in qualità di presidente della Svimez, e che quest’anno ha esordito come presidente emerito dopo aver passato la mano ad Adriano Giannola, come sempre ha parlato senza peli sulla lingua levando un j’accuse più alto e più forte del consueto.
“Le politiche – ha detto Novacco – richiedono di essere sistematicamente valutate con particolare riferimento per un verso alle “grandi opere strategiche” essenziali sia all’unificazione infrastrutturale dell’Italia, sia alla interconnessione territoriale dell’intero Sud, e per altro verso al sistema delle “reti” e alla qualità dei servizi da rendere funzionali sia nelle singole regioni meridionali, sia tra di esse, fino ad oggi assai poco ed assai male interconnesse.”
Un’analisi lucida che parte da un’attenta valutazione dello stato dell’arte. È una tesi che il Quotidiano va da tempo ripetendo: senza infrastrutture, non c’è sviluppo. Il superamento del gap infrastrutturale che ci penalizza, è propedeutico ad ogni altra “iniezione” pubblica a sostegno delle attività produttive. Sta forse in questo una delle chiavi per comprendere la crisi, se non proprio il fallimento, di quella stagione della concertazione che tante speranze aveva suscitato, soltanto una decina di anni or sono. Novacco fa nomi e cognomi, e punta l’indice contro le politiche di “sottrazione” che in questi anni sono state poste in essere a danno del Mezzogiorno.
“I tagli apportati in questi ultimi anni alla spesa in tali campi nel Sud, utilizzando talvolta il FAS come il Bancomat del Governo- – dice il presidente emerito della Svimez – hanno dato luogo ad una situazione che sarebbe non improprio definire di “sacrificio dei territori deboli”. Il fatto poi che siano scomparsi in sede di Governo i riferimenti introdotti dal DPEF 2000-2003 in ordine agli obiettivi di spesa di investimento da garantire nel Mezzogiorno [il 45% della spesa complessiva ed il 30% della spesa ordinaria in conto capitale, come era stato promesso dal DPS di Carlo Azeglio Ciampi e di Fabrizio Barca] sono la controprova del progressivo disimpegno della politica nazionale e di quella degli Enti erogatori nazionali che, salvo eccezioni, tendono a collocarsi addirittura al di sotto del “peso naturale” del Sud (popolazione e superficie dell’area), essenziale da rispettare se non si vuole accentuare il declino relativo del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese.”
Tutto questo nel pieno di una crisi economica internazionale che, com’è naturale, si sta abbattendo con maggiore virulenza sui territori più deboli, ed alla vigilia dell’avvento di un federalismo che, date tali premesse, può rivelarsi per il Sud davvero letale.
Views: 0
Pubblico volentieri questo commento giuto su Facebbok. Michele Lauriola è un ingegnere del Comune di Foggia. Ecco quanto mi ha scritto.
* * *
Geppe Inserra, articolo migliore non potevi mettere su facebbok "Capitanata, ombelico del Mezzogiorno". Il rapporto SVIMEZ è una fotografia parziale dei territori della Capitanata, territori intelligenti. I territori crescono solo se le popolazioni indigene hanno voglia di crescere. Le popolazioni indigene, fino ad ora, hanno pensato che dovevano essere gli "altri" a far crescere i territori e, quindi, loro stessi. La dirigenza politica, che noi abbiamo voluto, e la classe imprenditoriale locale hanno sempre avuto e continuano ad avere la presunzione che bastava che crescevano o crescano loro per garantire la crescita dei territori e dei cittadini. Seguo con attenzione i dibattiti che vengono animati nelle piazze virtuali alimentate da Pro Capitanata, che guarda caso, riporta come immagine del proprio profilo la stessa dell'articolo. Piazze che, spesso, animo io stesso. Certo il mio apporto è tecnico e non politico anche se la mia personale posizione mi porta ad impegnarmi anche socialmente nel settore produttivo a supporto dello sviluppo e della economia sostenibile dei territori della Capitanata. Lo faccio cercando di far decollare un contratto di rete con valenza territoriale per fare solidarietà. E' una goccia. Spero non continui a trovare l'indifferenza e la diffidenza fino ad ora riscontrata. Ti scrivo perché vedo in te lo stesso travaglio interiore e il dispiacere che provo io per questi territori della Capitanata, ricchi anche di intelligenza, e che purtroppo restano al margine e nella indifferenza non solo dello Stato ma anche della nostra stessa regione. Saluti.
Michele Lauriola