La sconfitta
politica del capoluogo non dovrebbe stupire più di tanto. Era annunciata da
tanti, piccoli e grandi presagi. Per esempio dalla provenienza geografica dei
responsabili provinciali dei due maggiori partiti. Il segretario del Pd, Paolo
Campo, è di Manfredonia. Arriva invece da Monteleone di Puglia il coordinatore
provinciale di Forza Italia, Carmelo Morra.
Non si è trattato nemmeno di
un progetto studiato a tavolino. I Democratici di Sinistra, per esempio, erano
assolutamente sinceri quando – dopo la conquista del Comune da parte di Orazio
Ciliberti – sognavano una città capoluogo in grado di diventare
“faro” e punto di riferimento del centrosinistra dell’intera provincia,
e dell’intera Regione.
Le cose non sono andate nel
verso sperato, perché poi ogni partito ha i suoi complessi equilibri da
mantenere, in uno scacchiere di per sé geograficamente, culturalmente,
politicamente complesso qual è il territorio provinciale. La vecchia Quercia
doveva fare i conti con i potentati di Manfredonia, di Cerignola, di San
Severo. Partiti più radicati nel capoluogo come la vecchia Margherita e
Alleanza Nazionale, si sono trovati invece a fronteggiare i nuovi equilibri
derivanti dal loro riposizionamento rispettivamente in seno al Pd ed al Pdl. La
prima è stata letteralmente fagocitata dai veltroniani del Pd. La seconda ha
pagato in modo particolarmente pesante lo scarso peso che possiede negli
equilibri regionali di Alleanza Nazionale: ma collocare Antonio Pepe, candidato
presidente della Provincia designato dal Pdl, in una posizione così infelice
della lista, mettendone addirittura a rischio la riconferma, non è soltanto un
atto irriguardoso, è miopia politica bell’e buona.
COME SI FORMA UNA CLASSE DIRIGENTE?
Tutte queste considerazioni
non possono però far passare sotto silenzio un interrogativo di fondo,
serissimo. Esiste una classe dirigente foggiana?
Per rispondere a questo
interrogativo, occorrerebbe rispondere preventivamente ad un’altra questione:
come si forma una classe dirigente?
Piaccia o no, proprio la crisi
politica che sta vivendo il capoluogo, fa risaltare modelli virtuosi, come
quello sipontino, di cui si sta discutendo in questi giorni. Nel volgere di
pochi anni, Manfredonia ha messo in campo tutta una serie di dirigenti
politici, a cominciare da Franco Mastroluca (che fu il primo segretario
post-comunista), per proseguire con Michele Bordo (segretario provinciale e
regionale della Quercia), Paolo Campo (primo segretario provinciale del Pd),
Gaetano Prencipe (ultimo segretario provinciale della Margherita). È appena il
caso di rilevare che tutti questi uomini di partito hanno anche collezionato un
bel po’ di incarichi politici: sono stati o sono parlamentari, sindaci, e che
al lotto vanno aggiunti anche il deputato forzista Antonio Leone, l’ex
presidente del Parco Nazionale del Gargano, Giandiego Gatta, alleantino, i consiglieri regionali democratici,
Angelo Riccardi e Franco Ognissanti, l’assessore provinciale Antonio Angelillis.
Il nucleo centrale di questo
autentico fenomeno è rappresentato dall’asse che sul finire degli anni Ottanta
si saldò tra Mastroluca, e gli allora giovanissimi Campo, Bordo e Riccardi. Un
asse così potente da risultare decisivo perfino in alcuni assetti nazionali
della Quercia. Fu Manfredonia a decretare la rapida ascesa (e l’altrettanto
rapida eclisse) di Pietro Folena, ritenuto fino a quella vicenda come il numero
due del partito, dopo D’Alema.
Questo nucleo si saldò attorno
ad un progetto forte di governo e di sviluppo della città. Non è affatto una
coincidenza che “attorno” e “contro” questo progetto si
siano poi costituiti altri nuclei (Leone, Gatta, Ognissanti) che hanno portato
il personale politico espresso dalla città a primeggiare nei rispettivi
partiti. Crediamo non sia successo in nessun’altra parte d’Italia che una città
di provincia sia riuscita ad esprimere in vent’anni tre segretario provinciale
del partito post-comunista.
Cos’è invece mancato, a
Foggia? Forse quel “progetto forte”, ed assieme il personale politica
in grado di interpretarlo e di portarlo avanti con coerenza, perché un
progetto, da solo, non basta.
I TENTATIVI FRUSTRATI DI PELLEGRINO E DI MUNDI
Ci aveva provato qualche anno
fa, senza successo, Antonio Pellegrino, e come sono andate le cose lo sapete.
L’ex presidente della Provincia aveva il progetto forte, le idee giuste, ma non
la “squadra” in grado di sorreggerlo, di interpretarlo, ed il cattivo
rapporto che deteneva con i partiti del centrosinistra fece il resto.
Avrebbe potuto svolgere una
funzione importante Ciro Mundi, la cui capacità di polarizzare consensi e voti
anche in contesti difficili ricorda un po’ le performance elettorali dei
“manfredoniani”. Mundi aveva anche un alto progetto di città, ma anche
al giovane primario foggiano ha fatto difetto la squadra, così com’era successo
già a Pellegrino.
Per la verità Mundi una sua
squadra ce l’aveva, ed era il partito, quella Quercia di cui era stato il
maggior suffragato.
I lettori conoscono come
queste storie si sono concluse: Pellegrino non è riuscito a centrare il suo
sogno, di diventare sindaco di Foggia. Mundi di Foggia è diventato vicesindaco,
ed ha provato a far sedimentare attorno alla sua idea di un nuovo piano
urbanistico generale, un progetto “forte” di città. È caduto però in
disgrazia all’interno del suo stesso partito, ed è stato
“defenestrato” da vicesindaco.
Forse, proprio in vicende come
quelle di Pellegrino e di Mundi sta la chiave per rispondere all’interrogativo
di cui sopra. Esiste una classe dirigente foggiana? Poteva esistere, se si
fossero saldati progetti di sicuro fascino con una “squadra” forte e
determinata, così com’è successo a Manfredonia.
Non è un caso che chi ha osato
di più, ha pagato un prezzo personale e politico elevato. A Foggia si preferisce
galleggiare, più che navigare a vele spiegate. Ecco perché non c’è una classe
dirigente foggiana. Ecco perché il capoluogo dauno è costretto ad annaspare.
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